Scopo di questo articolo è quello di capire che non esiste una sorta di grammatica cosmica che va bene per tutte le razze terrestri e non solo, ma anche aliene. Tuttavia affermo che il futuro dell’esplorazione spaziale sta' nella linguistica. Questo scritto trae origine da studi di linguistica relativi ad ipotetiche entità biologiche extraterrestri, possibili abitanti di pianeti simili alla Terra. Argomento quanto mai bizzarro e arduo. Inizierò dall'articolo qui sotto, fonte: http://www.extremamente.it

L’idea che le diverse lingue parlate sul nostro pianeta abbiano in comune una sorta di grammatica universale, in virtù di alcune strutture innate e condivise da tutti noi, ormai è piuttosto diffusa e deve la sua fortuna principalmente all’opera di Noam Chomsky, professore emerito di linguistica presso il MIT oltre che filosofo, teorico della comunicazione e attivista politico. Chomsky- ormai quasi novantenne- nei giorni scorsi ha partecipato all’International Space Development Conference che si è tenuta a Los Angeles.
Al convegno si è discusso del futuro dell’esplorazione spaziale– come ad esempio degli insediamenti su Marte e sulla Luna o della possibilità di ricavare metalli pregiati estraendoli dagli asteroidi e così via-  ma anche di vita aliena. Nel workshop intitolato Linguaggio nel cosmo, promosso da Douglas Vakoch, presidente del METI (ovvero Messaging Extra-Terrestrial Intelligence), si è parlato di come potrebbero avvenire i primi contatti con ipotetiche intelligenze extraterrestri.
“Chomsky ha detto spesso che se un Marziano visitasse la Terra, penserebbe che tutti noi parliamo un dialetto della medesima lingua visto che tutti i linguaggi terrestri condividono una struttura di base comune. Ma se anche gli Alieni avessero una lingua, sarebbe simile alle nostre? Questo è il grande problema”, ha detto Vakoch. Secondo l’illustre linguista la risposta è sì: “Per dirla in modo originale, il linguaggio dei Marziani potrebbe non essere poi tanto differente da quello umano, dopo tutto”, ha dichiarato durante il workshop.
Tuttavia c’è anche chi non sposa affatto l’ottimistica visione di Chomsky. Come il professore emerito Gonzalo Munevar, della Lawrence Technological University, che ha puntato la sua attenzione su come differenti specie animali, già qui sulla Terra, hanno sviluppato cervelli che lavorano in modo molto diverso tra di loro. Le farfalle luna (con ali lunghe fino a 15 centimetri), ad esempio, possono vedere i raggi ultravioletti mentre alcuni pesci percepiscono i campi elettrici.
“Una creatura intelligente  la cui principale modalità sensoriale è elettrica anzichè visuale avrebbe degli schemi di pensiero completamente estranei ai nostri”, ha detto. Ma non solo. Secondo il professore Munevar, non c’è nessuno motivo che giustifica la nostra pretesa che in mondi lontani esistano linguaggi simili o la medesima matematica. Dunque, profila uno scenario nel quale la comunicazione diventa molto ardua, se non del tutto esclusa. Ma che gli Alieni possano capirci oppure no, il METI va avanti sulla sua strada, nonostante tutto.
Infatti, inviare un messaggio nello spazio non è solo una sfida da un punto di vista linguistico, ma lo è anche dal punto di vista temporaleCi vogliono anni, se non decenni, prima di far giungere un nostro segnale, fosse anche soltanto un “ciao”, su uno dei pianeti extrasolari più vicini a noi. Serve un netto cambio di mentalità per incominciare a pensare in termini multi generazionali, dice Vakoch. “Gli scienziati che partecipano oggi ad un esperimento del genere probabilmente non saranno più da queste parti quando la risposta dovesse mai arrivare sulla Terra.”


Opinioni interessanti a proposito della comunicazione con una specie aliena provengono dall'articolo qui sotto, fonte: https://www.wired.it

Andrea Moro (docente di linguistica alla Scuola universitaria superiore Iuss di Pavia e autore di Confini di Babele (Il Mulino) e di Impossible Languages (Mit Press).

Intervistatore - E' possibile immaginare di comunicare con una specie aliena, completamente diversa dalla nostra?

Moro - “Questa domanda pone un problema preliminare molto importante. A ben pensarci, noi ci troviamo in una situazione simile tutte le volte che incontriamo un animale e ci permette di chiarire subito un punto importante: c’è differenza tra la comunicazione e la struttura del codice che si usa. Noi possiamo comunicare, per esempio, in modi relativamente efficienti con i mammiferi: con i cani, per fare un esempio naturale, ci sono molti canali di comunicazione; così anche con gli uccelli, per esempio con i rapaci; molto meno invece con gli insetti. Ma con nessuno di questi è possibile interagire come con un individuo che parli la nostra lingua, cioè che usi il nostro codice di comunicazione. GIÀ DA QUESTO SI CAPISCE CHE SE CI TROVIAMO DI FRONTE AD UNA SPECIE COMPLETAMENTE DIVERSA DA NOI POTREBBE ESSERE CHE NON CI SI INTENDA, SEMPRE AMMESSO CHE DA PARTE DEI DUE ESSERI VIVENTI CI SIA VOLONTÀ DI COMUNICARE: LE PIANTE SONO ESSERI  VIVENTI, MA NON RISULTA AFFATTO CHE SI POSSA COMUNICARE CON LORO, ALMENO NON NEL SENSO NORMALE DEL TERMINE.

Intervistatore - Se mai incontrassimo degli alieni dovremmo sperare che assomiglino di più a un cane che a un garofano”.
Non serve dunque scomodare gli alieni per trovare delle lingue che non possiamo comprendere?

Moro - “Questa è probabilmente la domanda centrale della linguistica moderna. Oggi il compito più importante non è classificare le
lingue o ricostruire le parentele tra di esse, ma capire cosa fa di una lingua umana una lingua umana. Il motivo di questa centralità è che la struttura della nostra lingua, come già aveva capito Cartesio, è il vero spartiacque tra le persone e tutti gli altri animali. Ovviamente
intendo non la necessità di comunicare, che è comune a tutti gli animali in vari gradi, ma proprio la struttura delle lingue. E di tutte le
proprietà che caratterizzano le lingue umane la più strana e misteriosa è la capacità di produrre significati nuovi e potenzialmente infiniti ricombinando nell’ordine un numero finito di elementi. In poche parole, la capacità di generare un numero infinito di frasi da un numero
finito di parole. Questa capacità non è condivisa da nessun altro essere vivente, nemmeno gli scimpanzé che pure hanno un genoma simile al nostro per non meno del 98%. Questa capacità di produrre strutture infinite è per certi versi simile alla capacità di costruire numeri sempre più grandi. Tecnicamente i linguisti la chiamano ricorsività, perché ricorda la capacità di produrre strutture infinite facendo correre la stessa istruzione su se stessa, un po’ come capita nelle filastrocche dei bambini di tutto il mondo: ‘c’era una volta un re…’. Una lingua la cui sintassi non contiene questa proprietà ricorsiva in prima approssimazione, è una lingua in qualche modo impossibile. Naturalmente si potrebbe pensare che sia solo un artificio convenzionale, un’invenzione basata su una scelta arbitraria. Invece, utilizzando tecniche di neuroimaging si è mostrato che se si insegnano lingue che non hanno strutture ricorsive il cervello le riconosce e non attiva le reti neurali tipiche per il linguaggio umano. Dunque non c’è affatto bisogno di scomodare gli alieni per immaginare lingue che non possiamo comprendere. Possono certo comunicare informazione, ma non in modo naturale. D’altronde è un po’ come se invece che fare addizioni il nostro cervello facesse più facilmente estrazioni di radici quadrate: anche in quel caso esisterebbero matematiche impossibili nel senso che non sarebbero naturali anche se con quelle si potrebbe comunque far di conto”.

Intervistatore - Alle basi della comprensione c’è il bisogno di una forma di traduzione e di un vocabolario. Come si costruisce un vocabolario con chi usa un linguaggio diverso?

Moro - Nella costruzione di un vocabolario si pongono essenzialmente due problemi: per prima cosa è necessario decidere cosa mettere nel vocabolario: noi per esempio non abbiamo nomi per tutto, abbiamo solo tendenzialmente nomi per oggetti, azioni o relazioni significative per la nostra capacità cognitiva. Se vediamo una mano, per esempio, abbiamo nomi per tante parti della mano, anche disgiunte, ma non per tutte: ci sono le falangi ma non ci sono nomi per indicare il pollice e il mignolo insieme. Ragionamenti simili si possono fare per altre categorie come verbi e aggettivi. Senza contare poi le parole logiche. Pensiamo a come è difficile spiegare cosa significa ‘se‘: eppure i bambini imparano a usare questa parola relativamente presto e certo senza istruzioni logiche da parte di professionisti. L’altro problema è stabilire e identificare il veicolo fisico di questi elementi atomici che stanno nel vocabolario: sono suoni, come nel linguaggio parlato, o gesti fatti con il corpo come nelle lingue dei segni, o simboli grafici come quelli che vi scorrono sotto gli occhi in questo momento? Perché avvenga comunicazione infatti è necessario che qualcosa di fisico accada tra due individui che vogliono comunicare: normalmente si usano onde d’aria che chiamiamo suoni o radiazioni elettromagnetiche che ci permettono di vedere gesti o scritture. Se fossimo fisici potremmo però forse aggiungere che potremmo anche comunicare con variazioni del campo gravitazionale e qui davvero viene la voglia di pensare ad un dialogo tra galassie. In assenza di qualche intermediario fisico comunicare è impossibile”.

Intervistatore - Potrebbero esistere dunque le basi per un linguaggio universale?

Moro - Se per universale si intende tra tutte le forme viventi e dotate di intenzione di comunicare penso proprio di no. La linguistica ormai ha chiarito che la struttura di una lingua umana dipende direttamente dall’architettura del cervello e dunque anche semplicemente rimanendo sul nostro pianeta non essendo tutti cervelli uguali – per le specie che hanno cervelli – un linguaggio universale è impossibile. Una domanda però apparentemente strana e per così dire inaspettata è se possa esistere un linguaggio universale per tutti gli esseri viventi e la risposta è che di fatto, a patto di utilizzare metodi matematici adeguati, tutte le lingue possono essere viste come la variazione su uno stesso tema, con una struttura di base comune”.

Intervistatore - E sono queste dunque le grandi sfide della linguistica di oggi?

Moro - “La linguistica è un mondo scientifico vastissimo e c’è spazio per tutte le domande. Mentre è stato tipico della linguistica dell’Ottocento cercare le parentele tra le lingue oggi ci sono vari filoni, tra i quali quelli che cercano di capire come siano incorporate le nozioni logiche nelle lingue umane e quelle che cercano di vedere quale sia la relazione tra le regolarità delle grammatiche e la struttura del cervello. Io, per esempio, sono interessato soprattutto a questo. La sfida oggi è quella di vedere nel dettaglio come fanno i neuroni a comunicare tra loro informazioni su onde elettriche ed elaborare le regole del linguaggio. In fondo, il vero continente misterioso rimane il cervello e tra tutti i compiti il più alieno di tutti è proprio quello che stiamo compiendo ora in questo momento, traducendo piccoli segni di luce in pensieri.




Di cosa parla questa benedetta ipotesi di Sapir-Whorf, di cui tanto si parla in questi anni?

"La lingua plasma la realtà, dall'ipotesi Sapir-Whorf alle teorie contemporanee" di Chiara Arcieri. Tesi di laurea presso SSML Gregorio VII.


The Grey.

 

 

 

 

 

 

 

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