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La storia che vi vorrei raccontare è quella di due donne vissute nel 1400 a Bologna. Gli ingredienti per la bella fiaba ci sono tutti. Sono giovani, belle, eleganti, colte, amano conversare e sono sposate a due uomini ricchi e potenti. Ma non tutte le fiabe hanno un lieto fine, questa non ce l’ha. Il destino a volte è impietoso. La calunnia al tempo poteva colpire chiunque, in questa storia, triste e dolorosa, colpì Gentile Budrioli, la Strega Enormissima. Ma, come mi ha insegnato qualcuno, occorre fare un passo indietro per poter poi andare avanti. 1233, Bologna. La Santa Romana Chiesa decise di creare nel convento di San Domenico il tribunale dell’Inquisizione. Fu uno dei più spietati e violenti dell’epoca, soprattutto nell’accanimento contro le donne accusate di stregoneria. Le vittime erano principalmente astrologhe, erboriste o prostitute, quasi tutte proveniente dai ceti più poveri. Dopo la persecuzione degli Albigesi, Innocenzo III e Domenico di Guzmán, divenuto in seguito Santo, decisero che la caccia contro le eresie non si poteva fermare, perché molti altri rami secchi avrebbero minato la diffusione del Cristianesimo. Fondarono pertanto questo tribunale, composto da Domenicani e Francescani, famosi per l’austerità della loro Regola e della loro vita. L’unico compito che dovevano assolvere era quello di scovare i segni del “demonio” sul corpo degli accusati, usando qualsiasi mezzo, e di comminare la giusta pena, il fuoco purificatore. Consultando alcuni documenti conservati nell’Archiginnasio di Bologna, si possono trovare richieste di finanziamento, da parte della Chiesa, per “l’allargamento della sala delle torture” e per il rinnovo degli strumenti di supplizio per gli interrogatori. Ma come si poteva alimentare questa macchina di persecuzione? Semplicemente confiscando ai condannati i beni che possedevano e che venivano equamente suddivisi fra e la Chiesa e il Comune di Bologna, che incentivava nei periodi di crisi l’attività inquisitoriale.



Gli inquisiti erano condotti, dopo l’arresto, dal convento di Piazza San Domenico a Piazza VIII Agosto, in genere su un carro, in mezzo alla folla delirante, con il boia e un frate che ripeteva liturgie. Il tragitto non era breve: dalla camera delle torture si passava per Pizza Cavour, in vie strette e maleodoranti, si proseguiva in Piazza Maggiore, dove si assisteva alla prima Messa. Sul carro con il malcapitato vi era l’Arciconfraternita della Morte, braccio della confraternita di Santa Maria della Vita, sita tra via Clavature e via Pescherie, composta da uomini vestiti con un saio e un cappuccio che lasciava intravedere solo gli occhi e all’altezza della bocca, per incutere più terrore, un teschio. Finita la Messa si ripartiva per Piazza VIII Agosto, dove la seconda Messa era il preludio al rogo.
Ma ora veniamo alla nostra storia. Gentile Budrioli era una donna giovane e bella. Era di famiglia benestante. Durante la sua giovinezza, Gentile aveva avuto la possibilità di studiare e di conoscere i misteri del mondo del suo tempo. La conoscenza la affascinava, sentiva la sua mente aprirsi. Durante una festa presso una ricca famiglia di Bologna, il padre di Gentile conobbe un giovane Notaio di seconda generazione, Antonio Cimieri, che gli parve subito perfetto per quella figlia tanto anticonformista. Decise così di organizzare le nozze. Gentile si sposò, ed essendo di buona famiglia, il giorno delle nozze portò in dote 500 ducati d’oro. Ma la vita agiata, condotta in una bella dimora nel Torresotto di Portanova, divenne ben presto noiosa, così la giovane donna decise di rimettersi a studiare. Essendo appassionata di astrologia, si avvicinò al professor Scipione Manfredi, che le insegnò tutto ciò che sapeva. Ma questo non fu sufficiente.
Poco lontano dal Torresotto vi era il convento dei Francescani, gli stessi che poi cercheranno su di lei i segni del demonio. Gentile ogni giorno si recava presso di loro per stare ore con il prezioso amico Frate Silvestro che la erudiva sui segreti della natura, delle erbe curative, delle stelle, le insegnava l’antico sapere. La gente la considerava una guaritrice migliore dei medici e molti si rivolgevano a lei. Una donna così non poteva non attirare l’attenzione di molti e le ire del marito stesso, che temeva la sua intelligenza brillante ma anche le accuse infamanti. Giovane, bella, colta e anticonformista. Gli ingredienti ci sono tutti.
La sua fama di donna capace di guarire usando le erbe e di conoscere le stelle, la fece arrivare come dama di compagnia alla corte di Ginevra Sforza, la donna più potente di Bologna. Ma chi era Ginevra Sforza? Figlia illegittima di Alessandro, signore di Pesaro, la bella Ginevra era la tipica donna del tempo, ricca e viziata, invischiata nelle trame di potere.



A soli 14 anni sposò Sante Bentivoglio, molto più maturo di lei. Dopo pochi anni rimase vedova e in seconde nozze sposò Giovanni II, cugino del marito e primo cittadino di Bologna, divenendo tra l'altro sua consigliera. Probabilmente tra i due era già nata una relazione prima delle nozze. Con lui ebbe 16 figli, alcuni dei quali morirono in età infantile. A causa di questi fatti dolorosi, Ginevra si avvicinò all’astrologia e all’erboristeria, cercando qualche rimedio naturale alle sue pene. Fu così che la sua strada si incrociò con quella della guaritrice Gentile. Le due donne diventano subito amiche, passando interi pomeriggi a conversare e a leggere. Erano inseparabili. Ma questa amicizia non durò a lungo. Uno dei figli dei Bentivoglio si ammalò di una misteriosa malattia, che nessun medico sapeva spiegare. Ginevra si rivolse a Gentile, che subito accorse in aiuto all’amica. Purtroppo il bambino morì dopo pochi giorni. Di questo fatto approfittò subito un'altra potente famiglia di Bologna, i Malvezzi, che con l’appoggio di Lorenzo il Magnifico, cercarono di destituire Giovanni II gettando discredito sulla sua famiglia. Gentile fu accusata di aver «guastato» il bambino, con un maleficio. Lo stesso giorno la donna fu arrestata e condotta in carcere, l’accusa era chiara: stregoneria. Ginevra disperata era in lacrime, ma non ebbe il coraggio di difendere l’amica. Preferì non esporsi, per non subire la stessa sorte. I giudici entrarono nel Torresotto di via Portanova e trovarono le prove della sua stregoneria: un diavolo di piombo, tracce di sangue, un altare, ampolle piene di liquidi, mantelli e abiti ricoperti di diavoli dipinti. Gentile era condannata. Subì per giorni torture tremende, per il corpo e per la mente. Il tempo non passava mai.



Gli atti del processo descrivono Gentile come una donna bella, bruna, che amava passeggiare per Bologna ben vestita, adorna di gioielli semplici ma preziosi. I testimoni che avallavano la tesi della stregoneria furono numerosi, il marito stesso la accusò, per vendicarsi di un suo presunto tradimento, di averlo sottoposto ad un incantesimo per fargli perdere l’intelletto. Una serva di Gentile confermò che la sua Signora parlava con il diavolo e le aveva insegnato una malia o per meglio dire una fattura, per far innamorare un uomo. Gli Inquisitori fecero una seconda perquisizione nella casa della donna, trovando altro materiale che, strano ma vero, durante la prima incursione era loro sfuggito: libri di negromanzia e magia nera, un altare con le immagini di Lucifero, dodici sacchetti contenenti ciascuno polvere di organi umani con i quali bastava che toccasse il corrispondente organo di qualcuno per farlo ammalare, le prove inconfutabili di «72 congiungimenti carnali con spiriti demoniaci» oltre ad «ossa rubate al cimitero, simboli sacri profanati e oggetti per l'evocazione dei demoni». C’era chi affermava con certezza che Gentile era in grado di predire cosa sarebbe accaduto, solo guardando le stelle. La Strega Enormissima, così fu definita, per il suo immenso potere. La donna stremata confessò. Il 14 luglio 1498 Gentile Budrioli, fu condotta dal convento in cui era rinchiusa in Piazza VIII Agosto per essere giustiziata come strega. I giorni di tortura e umiliazione, il processo, la condanna, non avevano cancellato la sua bellezza. Gentile fu posta sopra un palco e legata a un tronco alto circa sei metri da cui scendeva un cappio che le fu posto al collo. Dopo aver cosparso di pece la donna, fu ordinato di appiccare il fuoco. Gentile rimase impiccata e soffocata dalle esalazioni della pece. Durante l'esecuzione il boia lanciò polvere da sparo nelle fiamme causando esplosioni e violente fiammate che misero in fuga i cittadini accorsi a godersi lo spettacolo ritenendo che fosse il diavolo venuto a prendere l'anima della sua protetta. Le sue ceneri furono sparse al vento. Così si conclude questa storia, iniziata come una fiaba e finita in tragedia. E la bella Ginevra? Si dice che durante il rogo, Ginevra piangesse affranta nel Torresotto di Portanova, casa della cara amica.

Rosella Reali

Fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com

 


 

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