L’uomo non supera l’orbita bassa terrestre dal 1972, anno dell’Apollo 17, l’ultima missione lunare. Da quel momento veicoli come lo Space Shuttle e le Soyuz russe hanno contributo a popolare l’orbita più vicina alla Terra, posta a soli 400 chilometri di quota, nel frattempo diventata anche una barriera insuperabile.

 

Ricostruzione artistica della capsula Orion insieme all’ESM.



Nel 2011 la NASA ha deciso che il limite dell’orbita bassa andava superato di nuovo e, dando ideale seguito all’esperienza dell’Apollo, ha proposto una nuova capsula, denominata Orion. La navetta nasce di fatto dalle ceneri del precedente programma Constellation e prevede lo sviluppo di uno spacecraft in grado di portare nello spazio profondo, sullla Luna e eventualmente su Marte, con a bordo fino a sei astronauti. Il primo test della Orion (Exploration Flight Test 1, EFT-1) si è svolto il 7 dicembre del 2014, quando una navetta dotata dei sistemi base è stata lanciata per un orbita di circa 4 ore a bordo di un Delta IV Heavy per testare la capacità di rientro in atmosfera. Il secondo lancio è previsto nel 2018, quando la capsula sarà impegnata in una missione, ancora senza equipaggio, intorno alla Luna a bordo del nuovo vettore della NASA, lo Space Launch System (SLS). La missione denominata Exploration Mission 1 (EX-1), viaggerà per oltre 350mila chilometri fino al nostro satellite, dove rilascerà diversi CubeSat, tra cui ArgoMoon prodotto dalla torinese Argotec. Una prima missione con equipaggio è invece prevista per il 2023, con la speranza da parte della NASA di riuscire a farcela nel 2021. Nel 2026, inoltre, la NASA pensa di mandare degli astronauti su un asteroide, cosi da sperimentare degli strumenti che potrebbero avere importanti risvolti commerciali . Ma prima di tutto la navetta va testata, provata e, soprattutto, costruita. E in questa direzione molto è accaduto proprio negli ultimi giorni.

 

 

Il ruolo dell’Europa (e dell’Italia).
Il modulo abitabile della Orion è sviluppato dall’americana Lockheed Martin, mentre l’europea Airbus Defence e Space (ADS) è al lavoro sull’European Service Module (ESM), il modulo di servizio, composto dai motori, dai pannelli solari, dal supporto vitale, dal carburante. Insomma, tutto ciò che serve all’Orion per muoversi e garantire la sopravvivenza degli astronauti viene costruito in Europa sotto il controllo dell’ESA, che lavora a stretto contatto con la NASA. Proprio ieri ADS ha annunciato di aver iniziato l’assemblaggio del primo ESM, al cui progetto collabora anche Thales Alenia Space Italia (TAS, joint venture tra la francese Thales, 67%, e Leonardo-Finmeccanica, 33%) che invece fornirà la struttura, lo scudo di protezione dai micro-meteoriti, il controllo termico, il sistema di stivaggio e distribuzione di acqua e gas. Le due aziende europee concentreranno nel modulo di servizio le competenze sviluppate nel progetto ATV (Automated Transfer Vehicle), il veicolo europeo utilizzato fino al 2014 per il rifornimento della Stazione Spaziale Internazionale (ISS). L’ESM sarà formato da oltre 20mila componenti e sarà assemblato negli stabilimenti di Airbus di Brema, in Germania. «Con l’ESM dell’Orion siamo parte di una storica missione spaziale», ha commentato il numero uno della divisione spazio di Airbus François Auque. L’ESM ha una forma cilindrica ed è lungo e largo circa 4 metri. Dall’ATV prende direttamente i pannelli solari a “quattro ali”, in grado di generare tanta energia da alimentare due famiglie e l’impostazione generale dei sistemi. La propulsione è assicurate da 32 piccoli razzetti, alimentati con 8,6 tonnellate di carburante. In totale l’EMS ha una massa di circa 13 tonnellate, la metà dell’intera capsula.

 

La configurazione del Mars Base Camp.



Verso Marte.
Mentre Airbus annunciava l’avvio ufficiale del progetto ESM, dall’altra parte dell’Atlantico Lockheed Martin alzava l’asticella della sfida, mostrando il Mars Base Camp sia allo Humans to Mars Summit che al Sottocomitato allo Spazio della Camera dei Deputati. Il Mars Base Camp è una stazione spaziale scientifica da posizionare in orbita intorno a Marte nel 2028 per utilizzarla come campo base per una successiva esplorazione del pianeta. L’idea non ha avuto ancora (e forse mai l’avrà) l’avallo della NASA, ma, secondo Lockheed Martin, il Mars Camp Base potrebbe anticipare il Journey to Mars dell’agenzia americana di diversi anni, dalla metà degli anni Trenta alla fine del prossimo decennio. Il Mars Base Camp è basato su due navette Orion unite tra le loro da due moduli di servizio e due ulteriori unità abitative. La ridondanza dei sistemi serve da un lato a garantire una maggiore sicurezza per l’equipaggio e dall’altro a abilitare nuove missioni. Secondo l’azienda, ad esempio, una Orion potrebbe rimane agganciata al Camp, mentre l’altra potrebbe essere utilizzata dagli astronauti per missioni verso Deimos e Phobos, le due lune di Marte. Inoltre, la posizione della base permetterebbe agli astronauti a bordo di interagire con i rover (o i droni) sulla superficie del pianeta, che potrebbero essere di fatto teleguidati da remoto. L’idea è lanciare separatamente i diversi componenti del Camp, che poi verrrebbero pre-posizionati nell’orbita di Marte in attesa dell’arrivo dell’altra sezione, assemblata in orbita cislunare. In generale, l’idea di Lockheed è utilizzare tecnologie esistenti o in fase di sviluppo come SLS, che diverrebbe il veicolo di lancio del progetto. Proprio SLS rischia però di diventare un problema. Secondo Lockheed Martin, la NASA dovrebbe accelerare gli attuali piani sul razzo e anticipare alcune missioni. L’EM-1 rimarrebbe confermata nel 2018, mentre l’EM-2 andrebbe anticipata al 2021 con un cambio di missione. Invece di essere un doppione con equipaggio della precedente, l’EM-2 dovrebbe vertere verso la costruzione di un habitat cislunare per lo sviluppo delle tecnologie del Mars Base Camp. Nel 2027 sarebbe poi la volta del lancio del primo equipaggio verso Marte.

 

La time line proposta da Lockheed Martin.



Crash test.
Al di là dei progetti verso Marte, sulla Terra lo sviluppo dell’Orion continua. Nei giorni scorsi Lockheed Martin ha annunciato che la capsula ha superato una serie di test sulla resistenza alla pressione che confermano la tenuta dell’intera struttura. I test si sono svolti nel Kennedy Space Center di Cape Canaveral, in Florida, dove lo scheletro della Orion era arrivato il primo febbraio scorso. Il prossimo passo sarà allestire la capsula con i serbatoi del carburante, i comandi e i computer, così da impostarla per il primo volo del 2018 che potrebbe, che ha spiegato la NASA nelle settimane scorse, essere anticipato da novembre a settembre. L’integrazione tra il modulo pressurizzato e l’EMS di Airbus avverrà invece nei primi mesi del prossimo anno, mentre entro la fine del 2017 la capsula sarà accesa per la prima volta in tutte le sue componenti. Nel frattempo il centro di ricerca NASA di Langley, in Virginia, sta lavorando per permettere agli astronauti un ritorno più morbido possibile. Nel primo test del 2014 la Orion ha toccato l’Oceano Pacifico a circa 32 chilometri orari, una velocità non elevatissima, ma che comunque può mettere a rischio la vita di una persona seduta all’interno. Per questo in Virginia i tecnici dell’agenzia americana stanno effettuando una serie di crash test per migliorare la configurazione dei sedili per garantire un rientro il meno traumatico possibile. Per i test, che prevedono il rilascio dentro una piscina di un mock up della capsula, la NASA sta usando due manichini, uno di 100 kg per simulare un uomo e uno di 48 kg per una donna. In questo modo, spiega il capo progetto Ellen Carpenter, «saremo sicuri che l’equipaggio sarà al sicuro da infortuni nei prossimi rientri».

Fonte: http://www.flyorbitnews.it

 

 

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