La nuova tecnica già funziona su piccola scala: 0,4 Watt per metro quadrato di superficie erbosa: la corrente elettrica viene generata dalla naturale interazione tra le radici delle piante e i batteri del suolo. La scoperta potrebbe presto trovare applicazione su larga scala in vaste aree del mondo. Nelle zone più remote è già economicamente competitiva con i pannelli solari.

 

 

Le celle a combustibile microbico-vegetale generano elettricità mentre la pianta continua a crescere. Le radici espellono nel terreno oltre il 70% del materiale organico (che non utilizzano) prodotto dalla fotosintesi. Questi residui organici vengono degradati dai batteri intorno alle radici e i processi di degradazione provocano il rilascio di elettroni, generando così energia elettrica.

La tecnologia è stata messa a punto dall’Università di Wageningen in Olanda, sfruttando un principio scoperto nel 2007 da ricercatori della stessa università. Marjolein Helder e i suoi colleghi hanno posizionato gli elettrodi vicino ai batteri per assorbire questi elettroni e generare elettricità tramite la differenza di potenziale così creata.

Le celle a combustibile microbico-vegetale attualmente sono in grado di generare 0,4 Watt per metro quadrato di superficie di erba. Questa quantità è già superiore a quella generata dalla fermentazione delle biomasse. Secondo i ricercatori in un prossimo futuro la bio-energia elettrica derivata da questi impianti potrebbe produrre 3,2 Watt per metro quadrato.

Questo significherebbe che un tetto «verde» di 100 m² potrebbe generare abbastanza energia elettrica per coprire le necessità di una famiglia (con un consumo medio di 2.800 kWh/anno). A tale scopo potrebbero essere utilizzate piante di varie specie, tra cui erbe comuni e, nei Paesi più caldi, il riso.

Quello di Wageningen non è un caso isolato. Le piante sono attualmente al centro di numerose ricerche che ne analizzano i processi energetici e i flussi di elettroni al fine di ottenere energia. In molti laboratori, insomma, si guarda ai vegetali non solo per la loro capacità di produrre zucchero e liberare ossigeno nell’aria, ma anche per dirottare gli elettroni in gioco in questi processi. È il caso delle alghe, dalle quali gli scienziati dell'Università di Stanford (Usa), per la prima volta nel 2011 sono riusciti a «rubare» corrente elettrica, sia pur in quantità infinitesima.

Le celle a combustibile microbico-vegetale possono trovare applicazione su scale diverse. Si inizierà con i tetti pianeggianti in zone remote o nei Paesi in via di sviluppo. E dopo il 2015 la produzione di energia elettrica interesserà aree estese, come per esempio i terreni paludosi. Ovviamente la tecnologia necessita di ulteriori sviluppi e miglioramenti.

Bisognerà per esempio limitare la quantità di materiale utilizzato per gli elettrodi e piazzare questi ultimi in modo ottimale, per ottenere un incremento di produzione di energia e un risparmio dei materiali stessi. Ulteriori vantaggi di questa nuova fonte di energia rinnovabile è che non intacca il paesaggio (come le turbine eoliche o i pannelli solari troppo vistosi), non interferisce con la natura (come le dighe) e non è in concorrenza con i terreni agricoli, come accade invece per la produzione di biocarburanti a scapito del cibo.

Fonte: http://ilnavigatorecurioso.myblog.it

 


 

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