Il governo tedesco ha approvato un disegno di legge, che potrebbe essere approvato prima della fine dell’estate dal Parlamento, per punire i social network che non rimuovono prontamente i contenuti “d’odio” o “falsi” postati dai loro utenti. A seconda di quanto siano manifestamente illeciti questi contenuti, soggetti come Facebook o Twitter avranno tra 7 giorni e 24 ore per rimuoverli, o rischieranno enormi pene pecuniarie, fino a 50 milioni di euro. È manifesto come il tempo concesso sia in molti casi estremamente breve per giudicare se un contenuto sia vero o falso, lecito o “d’odio”. Tanto più che i dipendenti di un social network non dovrebbero in teoria avere le competenze giuridiche per definire rapidamente cosa sia o non sia hate speech, o quelle scientifico-giornalistiche per accertare quali fatti siano veri o falsi. Ma, soprattutto, non ne dovrebbero avere (in un Paese normale) la legittimità. La cosa più incredibile e disturbante di tutte, in questa legge, è probabilmente il fatto che l’autorità giudiziaria sia chiamata in causa esclusivamente nel caso l’autorità amministrativa voglia far definire un contenuto come illecito per multare il social network. Ma laddove si tratti di decidere se censurare o meno un contenuto, ossia l’espressione del pensiero di un cittadino, la sentenza è demandata a un’azienda privata. Con tutto ciò che ne consegue in termini di mancanza di legittimità, garanzie giuridico-processuali e diritti per il cittadino che viene giudicato. Visto l’impianto della normativa, è anche semplice capire come questa “psico-polizia privata” andrà ad operare nella pratica. Avrà l’autorità, anzi l’obbligo, di esercitare la censura senza passare per l’autorità giudiziaria, che anzi si pronuncerà solo laddove ravvisi da parte dei social network una censura non abbastanza efficiente. E le eventuali sentenze giudiziarie contro i social network saranno inappellabili. Alberto Aimi, giurista dell’Università di Brescia e conoscitore della realtà tedesca, commenta: «Per scongiurare il rischio di essere sottoposti a un procedimento amministrativo sanzionatorio (il che ha sempre un certo costo, anche in caso di eventuale “assoluzione”) i provider saranno spinti ad adottare criteri “ampi” per la valutazione di illiceità dei contenuti pubblicati». Se i rischi vengono solo dal censurare troppo poco, la logica reazione sarà quella di censurare sempre, nel dubbio. «Infatti – prosegue il Dott. Aimi – mentre è facile immaginare che venga aperto un procedimento amministrativo contro il gestore del social network in caso di pubblicazioni di contenuti la cui illiceità penale appaia “dubbia”, è certamente più difficile che l’adeguatezza del sistema di controllo venga messa in discussione in caso di cancellazione dei medesimi contenuti». Questa tendenza a un’interpretazione “espansiva” del dovere censorio andrà per giunta a innestarsi su categorie che, di per sé, già naturalmente si prestano a essere strumentalmente ampliate. La definizione di fake news, che istintivamente rimanda alla “bufala” conclamata, è in realtà stata spesso estesa anche all’interpretazione di fatti dubbi o persino alle opinioni non allineate col mainstream. Quando Facebook, proprio per pararsi da leggi draconiane tipo quella tedesca, ha varato negli USA un sistema di censura basato sul sedicente “fact-checking”, si è rivolto a uno schieramento di entità il cui orientamento politico è piuttosto monolitico. Nel caso del hate speech, invece, ancora più labile è la distinzione tra discorso d’odio ed espressione di un’opinione legittima. Ad esempio, contestare la politica delle porte aperte all’immigrazione sarà considerato un messaggio lecito o “xenofobo” e dunque illecito? Per quanto si è detto poco sopra, e cioè che i social network saranno punibili solo se avranno la mano leggera, è facile indovinare quale interpretazione faranno propria. I successi elettorali dei populisti in molti Paesi occidentali ha suscitato la reazione terrorizzata dell’establishment. La paura spinge ad attaccare, e così si è subito passati a propugnare limitazioni al suffragio elettorale e alla libertà d’espressione. Questo disegno di legge tedesco è l’espressione più marchiana e palese di tali pulsioni antidemocratiche. È un triste ricorso storico che la Germania si sia posta all’avanguardia in ciò, ma potrà presto essere raggiunta da altri. Il Ministro della Giustizia Maas ha già chiesto che tutta l’Europa si adegui varando simili norme per la censura in Rete, e qualcuno in Italia si è già portato avanti.

Daniele Scalea, Centro Studi Politici e Strategici "Machiavelli".

Fonte: http://www.occhidellaguerra.it

 


 

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