Nel 1960, due mandriani della Tasmania occidentale scoprirono un'altra enorme massa di tessuto arenata sulla spiaggia, lunga sette metri e larga sei, fu scrupolosamente esaminata da un gruppo di zoologi e naturalisti, che la descrissero dura e gommosa e in ottimo stato di conservazione. Inizialmente sembrava coperta di peli sottili che gli allevatori descrissero untuosi al tatto e anteriormente c'erano quattro lobi penduli. Quando la notizia giunse a Hobart, capitale della Tasmania, un uomo d’affari locale, G.C. Cramp, decise di finanziare il Tasmanian Museum che inviò sul luogo una squadra di quattro persone guidata da Bruce Mollison, della Wildlife Survey Section della Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO, l’agenzia federale che si occupa della ricerca scientifica in Australia). Giunti sul posto riuscirono a localizzare la carcassa, potendo appurare che le voci arrivate alla capitale erano sostanzialmente corrispondenti al vero. Mollison aggiunse inoltre di avere affondato il suo coltello da caccia “nella carne color avorio”, la quale era però risultata molto tenace e simile a cuoio molto spesso. Nel 1988 l'esperto di immersioni Teddy Tucker rinvenne presso Mangrove Bay (Bermuda) una massa organica non identificata:
"era bianca e fibrosa, quasi come la lana bagnata. Era molto densa e bianca anche all'interno, con una sorta di celle simili a quelle di un favo, ma non altrettanto regolari. Non poteva essere la parte di nessun pesce o di uno squalo, non so cosa fosse. Nessuno mi diede una risposta davvero definitiva."
Nel mese di giungo del 2003 alcuni pescatori cileni ritrovarono sulla spiaggia di Los Muermos una carcassa in putrefazione di 12 metri di lunghezza. Elsa Cabrera, direttrice del Centro per la conservazione dei cetacei di Santiago, impegnata nella ricerca stagionale delle balene morte o arenate lungo le spiaggie del Pacifico meridionale, dopo un esame preliminare escluse che potesse trattarsi del corpo di un mammifero avanzando l'ipotesi di un invertebrato. I resti dell'animale, duri e fibrosi, erano di colore rosaceo e presentavano due lunhge estremità simili a tentacoli. Grazie all'estrema disponibilità ed interesse della Cabrera riguardo a questa vicenda, riuscii ad ottenere dei campioni di tessuto dell'animale, che furono spediti anche in Francia al biochimico appassionato di criptozoologia Michel Raynal e negli Stati Uniti, al biologo Sidney Pierce. Alquanto imprudentemente, non credendo che il mio gesto potesse suscitare chissà quali scalpori, inviai alla Cabrera anche alcune immagini del globster della Florida, informandola che alcune informazioni sino ad allora in nostro possesso (e che esamineremo in seguito), suggerivano la possibilità che potesse trattarsi di una piovra smisurata e del fatto che la carcassa cilena fosse veramente molto simile a quest'ultima. L'intento era quindi quello di esaminare i campioni cileni per risolvere una volta per tutte quel vecchio mistero. La mattina seguente a mia insaputa, mi ritrovai letteralmente al centro dell'attenzione: la stampa di mezzo mondo aveva pubblicato articoli riportando che "secondo l'esperto italiano di fauna marina (cosa che di certo non sono) Lorenzo Rossi, potrebbe trattarsi di una piovra gigante, simile a quella ritrovata sulle coste della Florida cento anni fa". Ricordo che quell'estate ebbi il mio bel da fare tra interviste radiofoniche e cartacee per chiarire la mia reale opinione sulla vicenda e mettere i famigerati puntini sulle "i", ma ormai l'affascinante ipotesi di una piovra gigante era uno scoop troppo gustoso per potervi rinunciare e le mie reali ipotesi, che potesse cioè presumibilmente trattarsi di carcasse di capodogli e che ad ogni modo era necessario attendere gli esiti dei test sui campioni, passarono del tutto inosservate. Comunque, prima di gettare uno sguardo agli esami effettuati dagli studiosi in laboratorio ed alle varie teorie ed ipotesi formulate circa l'identità dei globster, sarà necessaria una piccola sintesi di quanto scoperto fin'ora dai dati in nostro possesso. Sembra infatti abbastanza evidente che tutte le carcasse di cui abbiamo parlato possedessero con ogni probabilità le medesime caratteristiche. Per prima cosa la colorazione, bianca a sfumature rosee e argentee per quanto concerne il globster di St. Augustine, colore avorio per quello della Tasmania e bianco con sfumature rosee ed azzurre per quello delle Bermuda. L'aspetto generale di tutti e quattro era il medesimo: grossi ammassi fibrosi indefinibili, estremamente spessi e difficili da incidere anche con grossi ed affilati coltelli da caccia e la presenza di una sorta di "moncherini" ai lati. Per finire, anche le varie fotografie giunte sino a noi sembrerebbero lasciare pochi dubbi, e parrebbe così possibile dedurre abbastanza tranquillamente, che almeno per quanto concerne il mero aspetto estetico ed alcune caratteristiche peculiari, tutti e quattro i globster sembrerebbero provenire dalla medesima specie animale.




Un'immagine del "mostro" del Cile, per gentile concessione di Elsa Cabrera CCC.



L'ipotesi della piovra gigante.
Addison Verrill di Yale, allora massimo esperto statunitense in materia di cefalopodi, riuscì ad esaminare le fotografie del globster della Florida e a leggerne le descrizioni tracciate da Webb. La sua opinione era che quei resti colossali dovessero appartenere ad una gigantesca piovra, alla quale assegnò persino il nome scientifico di Octopus giganteus. Oltre a scrivere un articolo in cui azzardava la descrizione e le abitudini che l'animale doveva possedere in vita, ipotizzava anche che l'enorme carcassa fosse appartenuta ad una sorta di gigantesco Cirroteuthis, a causa della presenza di due monconi, riconducibili alle pinne laterali tipiche dei polpi appartenenti a questo sott'ordine, che prendono il proprio nome (Cirrata) dalla presenza di filamenti digitiformi, detti appunto cirri, che ne percorrono i tentacoli. Ai tempi in cui Verrill formulò la sua ipotesi i più grandi Cirroteuthis conosciuti misuravano solo qualche decina di cm, ma nel 1984, in una zona del Pacifico Orientale a circa 2600 metri di profondità, il sottomarino francese da ricerca "Cyana", filmò un polpo di questo genere lungo 2,5 metri. Ad ogni modo va precisato che dopo un esame più attento del materiale a sua disposizione, Verril (1897) concluse che in realtà il mostro della Florida non fosse una piovra gigante, ma il muso di un capodoglio. Dopo un approfondito studio sulle correnti marine, il ricercatore Gary Mangiacopra teorizzò che i resti gettati sulla spiaggia della Florida potevano provenire dalle Bahamas, un arcipelago composto da numerosissime isole e rocce fuoriuscenti dall'acqua, che rappresentano le vette più alte di un immenso altopiano calcareo sottomarino, che possiede la peculiarità di essere forato da innumerevoli grotte subacquee, chiamate "buchi azzurri", che secondo il criptozoologo Michel Raynal rappresenterebbero un habitat ideale per dei grossi polpi. Un aspetto molto interessante è che i pescatori delle Bahamas temono una misteriosa bestia acquatica chiamata lusca, che ha fatto la sua apparizione in letteratura nel 1967, in un articolo pubblicato da Bruce S. Wright, direttore della stazione di ricerche biologiche di New Brunswick North eastern wildlife station, sul mensile canadese The Atlantic Advocate. Mentre stava esplorando un lago circondato da mangrovie presso l'isola di Andros, la sua guida gli riferì che all'interno di un buco azzurro posto sul fondo viveva un lusca.
"Dalle descrizioni il lusca mi parve un animale grande e pericoloso, mezzo polpo e mezzo drago, che abita le caverne calcaree dell'entroterra disabitato e delle coste ad ovest di Andros." Wright, 1967.
Venticinque anni prima, nelle stesse acque, Wright fece una singolare esperienza che Raynal ha spiegato con la presenza di un polpo gigante. Nel 1947 stava allenando un gruppo di sommozzatori presso un famoso buco azzurro chiamato Great Hole in the Ocean, un'enorme cavità di 12 metri di diametro qualche km a sud di Rose Island. Durante l'esercitazione un grande banco di pesci sparì improvvisamente alla vista come se fosse stato spaventato da qualcosa, poi fece la sua comparsa una remora, in concomitanza con una improvvisa e forte corrente proveniente dal fondo della grotta. Secondo Raynal tutto questo potrebbe fare pensare ad un'enorme piovra, che si sposta improvvisamente espellendo l'acqua dall'imbuto. Anche la presenza della remora potrebbe essere un indizio interessante. Sappiamo infatti che questi pesci sono soliti aderire, tramite una sorta di ventosa disposta sulla testa, al corpo dei grandi animali marini come squali, balene e tartarughe. Quindi ammesso che quest'ultime esistano realmente, sarebbe logico supporre che questo comportamento possa essere utilizzato anche su delle piovre giganti. Ricordiamo che il particolare fondale marino delle Bahamas raggiunge una profondità molto limitata, che varia dai 2 ai 12 metri (Bahamas in spagnolo significa "baja mar", cioè "mare basso") e che le remore, essendo animali pelagici, e quindi adattate ad una vita di profondità sono solite staccarsi dai corpi dei loro ospiti quando quest'ultimi si avvicinano troppo alle coste. Il dossier sul lusca farebbe irresistibilmente pensare ad un octopus gigante e sembrerebbe suffragare l'ipotesi di un Cirroteuthis. Considerando che i pescatori delle Bahamas chiamano questa creatura "colui che ha braccia pelose", Raynal ha formulato, forte del fatto che i filamenti presenti lungo i tentacoli dei Cirrati hanno la parvenza di peli, un nuovo nome scientifico per l'Octopus giganteus: Otoctopus (polpo con le orecchie) giganteus, in allusione alle grandi pinne laterali, simili ad orecchie, che caratterizzano questi animali (Raynal, 1986).



Qualcosa non torna.
Eppure prendendo in mano una carta geografica ci accorgeremo dell'enorme distanza che separa i ritrovamenti dei globster presi sinora in esame... I resti di St. Augustine e delle Bermuda potevano in effetti provenire dall'arcipelago delle Bahamas, ma cosa dire di quelli rinvenuti lungo le coste della Tasmania e della Nuova Zelanda? Ad ovest, la rotta più breve verso l'Oceania, si presenta l'invalicabile barriera rappresentata dall'America Centrale, mentre ad est bisognerebbe ipotizzare che i resti di un cefalopode gigante abbiano attraversato l'Oceano Atlantico e quello Indiano prima di approdare a riva, eventualità assolutamente assurda ed improbabile. Ammettendo quindi per un attimo che i resti della Florida possano davvero essere le vestigia di un cefalopode gigante e che quelli della Nuova Zelanda e della Tasmania abbiano una medesima origine, bisognerebbe ipotizzare che un simile animale, od una specie affine, possa essere stanziato non solo presso le Bahamas, ma anche nelle acque del Pacifico orientale, dove tra l'altro, il sottomarino francese filmò il Cirrate "gigante". Detto questo va comunque fatto notare che nel Pacifico Orientale, nessun arcipelago possiede un fondale marino paragonabile a quello delle Bahamas, in quanto la totalità di essi ha origini vulcaniche. D'altro canto, da quello che sino ad ora conosciamo sui cefalopodi, pare che i Cirrata conducano prevalentemente una vita di profondità, dato che stride con le ipotesi di Raynal. Sfogliando gli archivi degli avvistamenti di possibili animali sconosciuti, sembra che il luogo migliore in cui collocare eventuali polpi giganti possano essere gli arcipelaghi delle Hawaii e delle Filippine. Nel 1928, mentre era stazionato presso Pearl harbor, Robert Todd Aiken osservò un gruppo di sei polpi che giudicò lunghi 12 metri da un'estremità all'altra. Il 24 dicembre del 1989 un gruppo di quattordici persone si trovava a bordo di una canoa a motore lunga sei metri nelle acque della Baia di Iligan, Filippine, quando un octopus con tentacoli lunghi tre metri si aggrappò all'imbarcazione facendola rovesciare. Parte dell'equipaggio fu tratto in salvo dai pescatori, mentre altri riuscirono a nuotare soli verso la spiaggia, resta comunque il dubbio che il protagonista dell'"attacco" potesse essere in realtà un calamaro.




Analisi di laboratorio: Wood e Gennaro (1957 - 1971).
Nel 1957 Forrest Glenn Wood, specialista dell'etologia di polpi e cetacei, si imbatté per puro caso in un articoletto di giornale contenente riferimenti al "polpo gigante" di Saint-Augustine. Appassionatosi al caso cominciò a raccogliere ogni informazione possibile, risalendo anche alle fotografie originale dell'epoca. Il traguardo più importante fu però scoprire, grazie all'esperto di cefalopodi Gilbert L. Voss, che la Smithsonian Institution possedeva nella sua collezione di molluschi un vaso con dei campioni etichettati come "Octopus giganteus VERRILL". Joseph Gennaro, biologo dell'Università della Florida, fu il primo ricercatore ad eseguire l'analisi in laboratorio dei campioni in questione. Il suo scopo era quello di effettuare un esame istologico comparato, servendosi di un microscopio polarizzatore ed utilizzando campioni di tessuti di Octopi e Calamari noti:
"[...] Al di là di ogni dubbio non era grasso di balena [...] la struttura del tessuto connettivo consisteva in ampie fasce nel piano della sezione, con fasce di uguale larghezza disposte perpendicolarmente, una struttura simile, se non identica, al campione di Octopus [...]." Wood e Gennaro, 1971
Il primo esame faceva intravedere risultati alquanto interessanti e promettenti, ma pur sempre letteralmente incredibili:
"Pare chiaramente stabilito che il mostro marino di Saint-Augustine fosse di fatto un polpo, ma le implicazioni sono fantastiche. Benché di tanto in tano il mare faccia conoscere fenomeni strani e straordinari, l'idea di un polpo gigantesco, avente tentacoli di 23 - 30 metri di lunghezza e 45 cm di diametro alla base, quindi un'apertura totale di 60 metri, è difficile da ammettere." Wood e Gennaro, 1971




Il contributo di Mackal (1986).
Nel 1986, furono pubblicati anche gli studi condotti da Roy Mackal, criptozoologo e docente di microbiologia all'Università di Chicago, famoso per le sue ricerche innovative sul DNA. Dato che i tessuti della carcassa della Florida avevano "superato" la prova dell'esame istologico, Mackal ritenne indispensabile un controllo biochimico che potesse stabilirne la composizione degli aminoacidi e i contenuti di rame e ferro. Per comparare i risultati dei test con quelli effettuati su campioni di specie note, utilizzò frammenti di calamaro gigante e varie specie d'octopus per quel che concerne i Cefalopodi, ed una stenella maculata ed un beluga per quanto concerne i cetacei. Il verdetto finale fu che si trattava essenzialmente di un enorme massa di proteine collagenose e pareva certo che non potesse trattarsi di grasso di balena. Il collagene contenuto nei campioni del "mostro della Florida" era superiore rispetto a quello del calamaro gigante, cosa che a Mackal parve molto indicativa, in quanto:
"[...] I calamari possiedono rudimentali placche interne cartilaginose e necessitano quindi di meno collagene per mantenere intatta la propria integrità strutturale rispetto ad un polpo delle medesime dimensioni [...]" Mackal, 1986
I test dimostrarono inoltre che i campioni del tessuto del presunto Octopus gigante possedevano valori molto bassi di ferro e rame rispetto alla stenella ed al beluga: i cefalopodi infatti non utilizzano l'emoglobina durante la respirazione. Concludendo, l'esame biochimico di Mackal andava a completare quello istologico di Gennaro e Wood, rafforzando in maniera sempre più convincente l'ipotesi di una piovra gigante.



Le critiche di Sidney Pierce (1995).
Nel 1995 furono pubblicati i risultati dei ricercatori Sidney Pierce, Gerald Smith, Timothy Maugel e Eugenie Clark, che cercarono di stabilire il contenuto degli aminoacidi del tessuto del presunto Octopus gigante e del globster delle Bermuda, per poi esaminarli attraverso un microscopio elettronico. Con questo metodo constatarono che entrambe le carcasse erano composte prevalentemente da collagene. Le fibre di collagene erano composte da una serie di bande, quelle del globster sembravano simili a quelle presenti nella coda dei ratti, mentre nei resti di St. Augustine potevano essere riconducibili a quelle del grasso di balena, comunque sia erano molto differenti da quelle di un comune octopus. Le conclusioni finali dei ricercatori furono che la presunta carcassa d'Octopus gigante fosse in realtà del grasso di balena, mentre quella del globster delle Bermuda la pelle di qualche pesce, probabilmente uno squalo(!). Inoltre eseguirono dei calcoli sulla periodicità assiale del collagene di una megattera (Megaptera novae-angliae) e di un Bathypolypus arcticus, un minuscolo polpo di profondità che raggiunge i 45 grammi di peso. I risultati furono di 54,3 nm (nanometri) per quanto riguarda il "mostro della Florida", di 54,6 nm per quanto concerne la megattera e di 46,6 nm per il Bathypolypus. Questi dati furono utilizzati dai ricercatori come ulteriore prova che i resti di Saint-Augustine non potessero provenire da un polpo. Va detto però che se non ci fossero cimentati nell'esame del collagene di un polpo non più grande di una mano (e quindi non paragonabile ad uno di grandi dimensioni), ma si fossero limitati a consultare la letteratura già esistente in merito, avrebbero scoperto che la periodicità assiale del più grande polpo attualmente conosciuto, Octopus dofleini, varia dai 60 ai 64 nm (Gosline e Shadwick, 1983).  Questi risultati non convinsero nemmeno il disegnatore naturalistico e scrittore scettico Richard Ellis, che nel suo libro sui serpenti di mare (Piemme, 2000) riporta:
"Un cetaceo presenta uno strato esterno di grasso, quello che ha funzioni di isolamento nell'elemento idrico in cui vive e che assorbe il calore. Come sapevano i vecchi balenieri, era possibile togliere lo strato di grasso lasciando intatti al di sotto la carne e i muscoli. (...) Ma una solida massa di tessuto del peso da cinque a dieci tonnellate, che non presenti parti carnose né ossa, non ha assolutamente nulla a che fare con il grasso dei cetacei." Ellis, 2000




Le analisi del DNA (2003).
Già dal 1981 il biochimico e criptozoologo Michel Raynal aveva pensato di ricorrere all'esame del DNA per risolvere una volta per tutte il mistero delle origini della carcassa della Florida, ma la tecnologia dell'epoca non era ancora adeguata per l'applicazione con campioni contenenti informazioni tanto esigue. Nel 1990 però, in seguito alla necessità dell'identificazione del DNA in criminologia, si sviluppò la tecnica della "reazione a catena della polimerasi" (PCR), in grado di permettere l'amplificazione di frammenti di DNA. Dopo avere messo a punto un protocollo idoneo, nel 2003 Ernst, Clark e Gennaro riuscirono ad isolare l'mtDNA da un campione del "mostro della Florida" e ad amplificarlo. Il risultato fu a dir poco sconcertante... Secondo la banca genetica infatti, vi era una concordanza del 98% con il Cyprinodon variegatus, un piccolo pesce del Golfo del Messico che misura dai 4 ai 5 cm! Consapevole dell'assurdità di questo risultato, Gennaro ritenne però che l'ipotesi cetaceo fosse stata finalmente depennata:
"Così come ci rendiamo conto che si tratta di un risultato assurdo (la concordanza con il Cyprinodon), possiamo anche dire che la carcassa di Saint-Augustine è diversa da quella di tutti i cetacei." Ernst, Clark e Gennaro, articolo non pubblicato.
Nel 2004 Gennaro sottopose il suo articolo al Journal of Molluscan Studies, che però ne rifiutò la pubblicazione. Infatti i dati di Gennaro indicavano la presenza di un altro marcatore genetico, quello del Cyprinodon maya, il che lasciava suppore una contaminazione dei campioni. Questo mistero fu finalmente risolto nel 2009 da Michel Raynal, dopo un'attenta consultazione degli archivi delle acquisizioni della Smithsonian Institution. De Witt infatti non aveva donato soltanto le fotografie e i campioni della carcassa, ma anche "esemplari di Cyprinodon variegatus"! Non potendo nemmeno lontanamente ipotizzare che un giorno questa cosa avrebbe reso vano un raffinato metodo d'indagine scientifica, De Witt aveva spedito alla Smithsonian un unico contenitore che aveva riempito con formaldeide, campioni del "mostro della Florida"... E pesci.



L'identità del globster del Cile.
Nel 2004 Gennaro sottopose il suo articolo al Journal of Molluscan Studies, che però ne rifiutò la pubblicazione. Infatti i dati di Gennaro indicavano la presenza di un altro marcatore genetico, quello del Cyprinodon maya, il che lasciava suppore una contaminazione dei campioni. Questo mistero fu finalmente risolto nel 2009 da Michel Raynal, dopo un'attenta consultazione degli archivi delle acquisizioni della Smithsonian Institution. De Witt infatti non aveva donato soltanto le fotografie e i campioni della carcassa, ma anche "esemplari di Cyprinodon variegatus"! Non potendo nemmeno lontanamente ipotizzare che un giorno questa cosa avrebbe reso vano un raffinato metodo d'indagine scientifica, De Witt aveva spedito alla Smithsonian un unico contenitore che aveva riempito con formaldeide, campioni del "mostro della Florida"... e pesci.


 

 


La spiegazione.
Ma come spiegare la totale mancanza di ossa e di organi interni? L'enorme testa del capodoglio, oltre a rappresentare circa un terzo della lunghezza totale dell'animale, possiede una vasta cavità nella quale è contenuta un liquido che i baleniere chiamavano spermaceti, che ha la proprietà di solidificarsi e liquefarsi per fungere da zavorra naturale durante le immersioni ed emersioni. Questa sostanza ricca di collagene che tende a solidificarsi se esposta al sole, è alla base di molte strane proprietà dei globster, tra cui la loro eccezionale resistenza. L'assenza di ossa in questi reperti può essere facilmente spiegata dal fatto che dopo la morte, lo scheletro del cranio dell'animale (immagine in basso) si trova all'interno di una sorta di sacco e può succedere che durante la putrefazione le ossa strappino la pelle andando a fondo, mentre la restante sostanza fibrosa, continuando a galleggiare, può arenarsi in qualche spiaggia. Alla luce attuale dei fatti è così possibile affermare con relativa sicurezza che i resti di Saint-Augustine non rappresentassero le spoglie mortali di una gigantesca piovra, quanto piuttosto il muso di un capodoglio, fatto che convalida la seconda - e corretta - ipotesi di Verril. Inoltre, dati alla mano, è possibile affermare con assoluta certezza che anche tutti gli altri globster sono il prodotto della putrefazione di diversi cetacei.



Bibliografia sintetica
GENNARO, Joseph F. (1971). The creature revealed. Natural History 80.
MACKAL, Roy P. (1986). Biochemical anlyses of preserved Octopus giganteus tissue. Cryptozoology 5, p. 55-62.
VERRIL, Addison Emery (1897). Gigantic octopus. New York Herald, January 3, 1897, p. 13.
VERRIL, Addison Emery (1897). A gigantic cephalopod on the Florida coast. The American Journal of Science 3, Januray, p. 79.
VERRIL, Addison Emery (1897). The supposed great octopus of Florida: certainly not a cephalopod. The American Journal of Science 16, April, pp. 355-356.

Articolo aggiornato dopo la sua pubblicazione iniziale al 15/09/2010




Il prof. Webb a fianco della misteriosa carcassa.



Alcune delle più irritanti caratteristiche della maggior parte dei dossiers criptozoologici, sono la povertà delle prove materiali collezionate e le "grandi occasioni" andate perdute: macchine fotografiche che s'inceppano un istante prima dello scatto, filmati che risultano incomprensibili a causa dell'errato uso della telecamera, misteriose carcasse che nessuno zoologo si prende il disturbo di esaminare e dalle quali non viene prelevato nessun campione e reperti che si smarriscono per sempre nei polverosi archivi di qualche museo. Per ciò che concerne le prove relative al caso dei misteriosi resti organici fibrosi ed informi divenuti famosi con il nome di "globster" (termine coniato da Ivan T. Sanderson dalla contrazione di "globular monster"), ritrovati su alcune spiagge del mondo, possediamo numerose fotografie sufficientemente chiare, le testimonianze dei naturalisti che li esaminarono in prima persona e piccole parti di frammenti organici sui quali sono stati compiuti numerosi ed accurati esami in laboratorio. Il risultato di tutto ciò è che, a oltre cento anni dalla "prima" scoperta, è stato finalmente possibile risolvere con certezza il mistero... Il 30 novembre del 1896 il professor De Witt Webb, un medico di Saint Augustine, Florida, ricevette l'inaspettata notizia della scoperta di una sorta di grande carcassa animale effettuata da due ragazzi (Robert Coles e Dunham Coretter), mentre erano intenti a fare un'escursione in bicicletta lungo la spiaggia. Webb si recò immediatamente sul luogo e poté esaminare stupefatto gli incredibili resti: la parte visibile al di fuori della sabbia misurava 7 metri di lunghezza, un metro e venti di altezza e 2,5 metri di larghezza ed era di colore bianco, con leggere sfumature rosee e argentate, il peso infine, doveva aggirarsi sulle 5 tonnellate.

Fonte: https://www.criptozoo.com



 

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