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Sono ormai decine i droni di varia fabbricazione (cinese e serba prima di tutto) che secondo il Pentagono sono in mano allo Stato Islamico di Abou Bakr al-Baghdadi. I primi due sono stati individuati dagli americani nella estate del 2014: erano droni con caratteristiche militari, ma armati solo di telecamere e sensori per la perlustrazione di ampie aree di terreno.

Erano stati utilizzati come «spie» rivelatrici del nemico per le battaglie di terra. Ma nel giro di un anno l'arsenale di droni in mano all'Isis è lievitato: secondo un documento dell' intelligence americana ne sono stati acquistati anche da combattimento di fabbricazione serba e probabilmente altri sono stati sottratti all'esercito ufficiale iracheno durante battaglie. Ma soprattutto lo Stato islamico o ha addestrato o ha comunque reclutato personale specializzato che è in grado di guidare da terra quei droni e di assicurarne il funzionamento. L'ultimo rapporto è quello che preoccupa di più l'Italia: almeno due droni da combattimento sarebbero in questo momento nella zona di Sirte, nella Libia controllata da forze che fanno riferimento proprio all'Isis. E potrebbero essere puntati proprio su Roma o altre città italiane.

Non sono note le caratteristiche di fabbricazione, perchè non ci sono immagini chiare di quei droni, ma nell' arsenale del Califfato ce ne sono con un' autonomia di volo che oscilla fra le 20 e le 40 ore. Di quella notizia sono stati avvisati nei giorni scorsi sia i servizi segreti italiani che le autorità, anche se non ci sono indicazioni da fonti ritenute attendibili di un imminente attacco all' Italia. La preoccupazione però è altissima. Per intercettare i droni- a meno di errori nel sistema di guida da terra- è necessario conoscerne l' esatta localizzazione e abbatterli mentre si levano in volo. Una volta partiti i sistemi di difesa sono assai scarsi. I radar tradizionali non sono in grado di captarli, perchè volano troppo basso, e nemmeno i radar militari italiani possono fare molto. Si può tentare di abbatterli con altri aerei militari se vengono captati in qualche modo per tempo, ma la decisione sarebbe drammatica in caso di volo sopra centri abitati.

Ad avere mostrato quanto alta sia la preoccupazione per questo tipo di attacco è stato ieri lo stesso prefetto di Roma, Franco Gabrielli, che prima della sua esperienza alla protezione civile aveva guidato anche il servizio segreto interno della Repubblica italiana, e quindi conosce bene questo tipo di problemi. Gabrielli ieri ha annunciato la scelta di allargare la già prevista «no fly zone» su Roma durante il periodo del Giubileo: «Ci sono alcune zone della Capitale, praticamente tutta la città, che sono interdette al volo aereo per tutto il periodo del Giubileo». Ma è un divieto facilmente aggirabile, come ha riconosciuto lo stesso prefetto: «Voi capirete bene che questo fa sì che le persone per bene non affollino i cieli ma ha assolutamente poca incidenza su chi ha una intenzione negativa. Quindi non è che noi con l'emissione del divieto di volo stiamo tranquilli. Faccio un esempio che va tanto di moda, il famoso elicottero del 20 di agosto (quello utilizzato per i funerali di Vittorio Casamonica) lì non poteva volare perchè i mono-motori hanno il divieto di farlo sui centri abitati. Il tema dei droni si vince o si perde nel momento in cui il velivolo si stacca da terra. Quindi lo sforzo che noi dobbiamo compiere è uno sforzo di intelligence, di polizia giudiziaria, di apparati di sicurezza per provare ad intercettare preventivamente i soggetti che hanno intenzione di portare un nocumento attraverso l'utilizzo di questi mezzi». Detta così Roma sembra davvero indifesa, e se un alto prefetto come Gabrielli rivela così apertamente la preoccupazione della intelligence italiana per un attacco Isis sulla città di Roma con i droni, ovviamente il sistema di vigilanza in questo momento è allertato ai massimi livelli senza aspettare che inizi il Giubileo.

La capitale italiana è certamente un obiettivo dei terroristi, e ieri dagli esperti è stato ritenuto assai attendibile un video che era stato attribuito all' Isis con il titolo «Parigi prima di Roma». In circa 6 minuti due terroristi del califfo spiegano il motivo degli attentati di Parigi (e mentre parlano scorrono le immagini di quegli assalti e il discorso ai francesi del presidente Francois Hollande), e dicono che il prossimo obiettivo sarà sicuramente Roma, che «è la prima rappresentante della Croce nell' occidente». Però sostengono che prima di insanguinare la capitale italiana, ci sarà un attentato a Washington: «Metteremo fine a ciò che chiamate Casa Bianca e la anneriremo con il nostro fuoco», dicono. Potrebbero essere proclami propagandistici, ma il video è stato ritenuto autentico e di seria minaccia da una delle massime conoscitrici del mondo Isis, l'analista Rita Katz che guida il gruppo di intelligence Site Intel. Più elementi secondo lei sono concordanti nell'indicare che il prossimo attacco sarà negli Stati Uniti (vorrebbero Washington, ma è più facile che avvenga a New York) e poi a Roma: fra gli indizi di questi obiettivi anche il tentativo di assassinio in Bangladesh del prete italiano Piero Parolari, rivendicato ufficialmente dall'Isis ieri.

I droni potrebbero essere davvero la buccia di banana su cui rischiano tragicamente di scivolare i paesi occidentali. Sono stati protagonisti fin qui della gran parte degli attacchi di Francia, Stati Uniti e dei loro alleati in Iraq e in Siria. Per questo sono diventati l'arma di eccellenza venduta in quella polveriera, un po' in tutti i paesi. L' Italia stessa sta fornendo prototipi di Piaggio Aerospace proprio in questi giorni all'Adasi, l'Abu Dhabi Autonomous System Investments che sta sviluppando un sistema di difesa negli Emirati Arabi Uniti. Stiamo parlando sì di un paese arabo, ma di quello più fedelmente alleato agli Stati Uniti. Sono stati fra i primi a bombardare l'Isis, e anche a utilizzare i droni da combattimento in quelle zone. Non si sa se già con materiali italiani.

Anche questo è un rischio, perchè talvolta i droni si perdono o vengono abbattuti, e fosse anche i loro pezzi finiscono nelle mani dell'esercito dell'Isis che sicuramente è in grado di vedere l'origine di fabbricazione, e talvolta anche di riutilizzarne parti. Se dal punto di vista militare i droni occidentali non sembrano avere consentito grandi passi nella guerra allo Stato islamico, sono però diventati nelle loro mani una formidabile arma di propaganda per reclutare simpatizzanti e militanti: quei droni magari avevano ucciso le loro donne e i loro bambini. È un allarme che ieri hanno lanciato quattro ufficiali dell' aeronautica Usa in una lettera aperta a Barack Obama sostengono che l'utilizzo dei droni «ha alimentato i sentimenti di odio che infiammano il terrorismo e gruppi come l'Is, agendo come uno strumento di reclutamento fondamentale simile a Guantanamo. Uccidere civili innocenti in raid condotti dai droni ha agito come una delle forze motrici più devastanti per il terrorismo e la destabilizzazione in tutto il mondo».

Franco Bechis

Fonte: http://www.liberoquotidiano.it

 

 

Potrebbe essere questo l’anno del primo attentato terroristico portato da un drone portatile, magari equipaggiato con una testata esplosiva? Potrebbe esserlo. Quasi certamente è un’ipotesi reale per una tecnologia fino a poco tempo fa di esclusiva pertinenza delle superpotenze mondiali.

Il punto è proprio questo: soltanto Usa, Russia e Cina, ad esempio, hanno le risorse per costruire sistemi a bassa osservabilità, ma letteralmente chiunque può acquistare un piccolo drone. Gli esempi, così come rilevato da DefenseTech, si sprecano. Switchblade ad esempio. Realizzato dalla AeroVironment Inc., Switchblade pesa meno di cinque chili. La sua propulsione elettrica lo rende pressoché silenzioso. Lanciato da un semplice cilindro, estende le ali ed ha un’autonomia di dieci minuti. E’ dotato di una telecamera a colori/infrarossi che consente all’operatore in remoto di identificare un bersaglio. Scelto ed agganciato l’obiettivo, Switchblade si lancia a 90 miglia all’ora con una testata abbastanza potente da polverizzare un camioncino di svariate tonnellate. L’implementazione futura di svariati sistemi ad unità combattenti terrestri, potrebbe conferire loro una capacità di decimare gli avversari a distanza.

L’opinione pubblica è stata abituata a riconoscere i “Reaper” ed a credere fossero i principali artefici dei raid nelle zone di crisi. In pochi sanno, però, che soltanto in Afghanistan nell’operazione Enduring Freedom, gli USA hanno schierato oltre quattromila Switchblade.

Al programma “Lethal Miniature Aerial Munition System” del Pentagono partecipano alcuni dei più grandi appaltatori della difesa del pianeta. Textron Inc. con la sua bomba volante “Battlehawk” e Lockheed Martin con il suo “Terminator”. Al programma partecipano anche gli israeliani, con l’Hero-30 (foto) prodotto dalla uVision. Pesante tre chili, Hero-30 ha una testata da 500 grammi ed un ‘autonomia di 40 km.

La tecnologia dei droni non è da tempo esclusiva pertinenza dei militari. Con poche centinaia di euro, chiunque può acquistare un drone stabilizzato dotato di telecamera HD e GPS. La pronta disponibilità di questo tipo di tecnologia offusca la linea tra elettronica militare e commerciale. La stessa tecnologia, ad esempio quella utilizzata nei cellulari, è già implementata nei droni. Senza considerare, infine, che un drone commerciale non deve essere necessariamente dotato di una testata esplosiva per creare un potenziale disastro. Sarebbe da stupidi, infatti, non temere la “remota” possibilità che qualcuno possa dirigere un piccolo drone acquistato pochi minuti prima al duty free, contro una turbina di un aereo in fase di rullaggio o decollo. Il fatto che sia un’ipotesi così “stupida”, non significa che non sia fattibile e potenzialmente disastrosa.

L’implementazione degli esplosivi su dispositivi a basso costo, in alcuni casi rappresenta soltanto un dettaglio. L’Improvised Air Threat non deve essere necessariamente armata.

di Franco Iacch - 18/01/16

Fonte: http://www.difesaonline.it

 

 

 Circa le forze armate svedesi occorre notare che, negli anni della guerra fredda:
"Non mancavano 1.350 posti di osservazione ottici con apposite piattaforme sui confini, animate da volontari muniti di binocoli che per quanto utili soprattutto di giorno, sono un supporto preziosissimo contro le penetrazioni sotto la cortina radar."

Fonte: https://it.wikibooks.org

 


 

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