Nell’estremo est della Sierra Leone, durante la stagione delle piogge, la strada che porta alla Liberia è un pantano nella foresta nel quale affondano veicoli di ogni genere stracarichi di merce. A piedi nudi nel fango i passeggeri spingono le vetture incagliate nel tentativo di rimetterle in cammino prima dell’arrivo dell’ennesima pioggia. “Ogni volta è la stessa storia, non possiamo perdere tempo. Il nostro diavolo ci attende“. A parlare è Mohammed Conteh, 48 anni, cercatore di diamanti di vecchia data, a capo di un gruppo di minatori. Il diavolo di cui parla è quello al quale lui e i suoi compagni di lavoro rivolgeranno un rituale propiziatorio. Partiti all’alba dal villaggio di Zimmi, dopo aver comprato il necessario per il rituale, è il fiume Mano la destinazione.




La strada principale che collega Sierra Leone e Liberia è impraticabile durante la stagione piovosa. Gli scambi commerciali sono ostacolati dalla difficoltà di garantire l’arrivo delle merci nei tempi richiesti.



Quello tra Sierra Leone e diamanti è un binomio antico, costato un atroce guerra civile per il controllo delle miniere dal 1991 al 2002, dietro al quale si cela un mondo fatto di sciamanesimo, sacrifici e rituali magici. Oggi non scorre più sangue dietro il business dei diamanti , che rappresenta circa il 10% delle esportazioni totali annue del paese, ed il facile ottenimento delle licenze estrattive ha fatto moltiplicare il numero di miniere artigianali , alimentando la prospettiva di guadagni facili. Abbandonata la strada principale, Conteh imbocca una deviazione nella boscaglia, così fitta a tal punto da costringere a lasciare la macchina e proseguire a piedi. “Al tempo della guerra questa zona era un fronte. Eri costretto a lavorare per i ribelli”, racconta senza nostalgia Mohammed Kanu, il più anziano del gruppo, sulla sessantina, mentre si fa largo tra la vegetazione. Lui, durante il conflitto, nella provincia di Kono, una delle aree diamantifere più importanti del Paese, ha dovuto sottostare per alcuni mesi alla volontà dei ribelli del Ruf (il Fronte Rivoluzionario Unito), per sua fortuna senza conseguenze. Il sentiero prosegue fino al diradarsi degli alberi dove sorge il villaggio di Dukor, l’ultimo prima del fiume, una dimensione senza tempo dove un centinaio di persone, per la maggior parte bambini, vive nel mezzo della foresta tropicale. È qui che il capo-villaggio Kemolai ha istruito Conteh e i suoi minatori, di etnia Temne, sui rituali da rispettare per la ricerca delle pietre preziose secondo la tradizione di Dukor, i cui abitanti sono invece di etnia Mende. Il rispetto delle credenze del luogo è infatti la condizione necessaria per ottenere il permesso della famiglia reale di sfruttare il fiume Mano, prima ancora di una licenza governativa. “Veniamo da gruppi etnici molti diversi ma oggi non importa. La nostra presenza è utile al villaggio perchè diamo lavoro ai giovani” prosegue Conteh. L’attività mineraria rimane infatti il principale bacino occupazionale di queste aree rurali e nonostante la straordinaria vocazione agricola del paese le coltivazioni sono ferme ai livelli di sussistenza. “Qua intorno sono tutti minatori. Molti hanno lavorato nei campi per anni e sono rimasti poveri. Adesso cercano le pietre pensando di poter cambiare vita. Per questo è importante onorare i diavoli. Loro decidono la tua fortuna”.




Junior (20), Abu (18) and Ibrahim (29) vengono da Dukor ed ogni volta attraversano la foresta per raggiungere il fiume Mano. Per loro la ricerca dei diamanti è una possibilità di sostentamento in un luogo privo di altre opportunità. Ogni giornata di lavoro viene pagata 20.000 lions ( circa 2 euro), mentre una piccola percentuale della vendita dei diamanti viene donata ai capi del villaggio e dunque ridistribuita ai suoi abitanti.



Salàmatu.
Dopo una mezz’ora di cammino nella foresta, immersi nel chiasso della fauna locale, appare il fiume Mano, confine naturale con la Liberia. Il fiume, in questo caso, è il luogo dove risiedono i diavoli, i “debuls” nella lingua locale krio, entità dalle sembianze talvolta umane, visibili solo a coloro che posseggono una visione speciale, come il capo-villaggio Kemolai. I demoni della Sierra Leone sono lontani dalla figura maligna della cultura cristiana: sono spiriti millenari ai quali rivolgere le proprie offerte e preghiere per ottenere fortuna durante la ricerca dei diamanti o almeno protezione per i minatori durante il lavoro non privo di rischi. Quelli del fiume Mano sono diamanti alluvionali, sedimentati nel terreno sottostante il corso d’acqua. È compito dei “tuffatori” immergersi per aspirare il pietrisco fuori dal letto del fiume con un apposita pompa. Dovendo operare ad una certa profondità, con un tubo per respirare legato alla vita e tenuto in bocca, il pericolo di annegare è concreto. Abu è un tuffatore, ha 21 anni e vive a Dukor: “Una volta mentre ero sott’acqua il tubo si è incagliato, ero bloccato e non riuscivo più a respirare. Stavo per morire ma Salàmatu mi ha salvato”. Salàmatu è il diavolo del fiume Mano. “Quest’angolo di fiume dove lavoriamo è dove le donne dei villaggi si recavano per lavare i panni, per questo Sàlàmatu è una donna. È giovane, ha la pelle chiara e i capelli lunghi”, spiega Conteh, precisando che lui non l’ha mai vista ma è stato Kemolai a parlarne. E prosegue : “Ci sono vari diavoli nel fiume. Andando verso nord se ne trova uno dalla pelle nera, uomo, ma non lo conosco. Però so' che molti sono uomini bianchi”. Il riferimento alla carnagione bianca dei “debuls” è da interpretarsi risalendo alle origini dei rapporti sociali ed economici che il mondo occidentale intrattiene da oltre un centennio con la Sierra Leone. Secondo Lorenzo D’Angelo, antropologo dell’Università Milano-Bicocca, “la figura del debul drammatizza la relazione a distanza con gli stranieri, storicamente associati alla predazione delle risorse locali e delle vite umane. Questa regione è stata infatti al centro della tratta atlantica (tratta degli schiavi). In questa ottica non è forse un caso che questi spiriti abbiano le parvenze somatiche di tanti occidentali, che sono spesso gli utilizzatori finali dei diamanti. Per i minatori, queste pietre sono solo futile merce di scambio convertibile in denaro. A questo proposito è credenza diffusa che i diavoli sono i proprietari dei diamanti. Se gratificati dalle offerte dei minatori possono lasciare che questi trovino le gemme preziose. Dunque queste figure fantasmagoriche aprono orizzonti di riflessione sulla società capitalista, della quale rappresentano, in parte, i paradossi”.




I “tuffatori” pronti ad immergersi. Lavorano a turni di 30-40 minuti: operare sott’acqua è infatti faticoso e rimanere immersi a lungo può divenire un pericolo.



Biscotti e tamarindo.

Tutti i minatori sono ora giunti al fiume. Conteh richiama all’attenzione i più giovani, intenti a scherzare tra di loro nell’attesa. Sarà lui a dirigere il rituale. Il setaccio, il principale strumento di lavoro, è un simbolo importante nella pratica propiziatoria: rappresenta il materializzarsi (o meno) delle speranze che i minatori ripongono nella ricerca. È su di esso che, dopo avervi lavato il pietrisco raccolto dal fiume, si troveranno per grazia dei diavoli le ambite gemme. Conteh prende il setaccio e lo posa sulle ginocchia di Idrisa, uno dei tuffatori seduto su un legno; attorno a quest’ultimo si radunano tutti gli altri. È ancora il capo del gruppo che prende dei biscotti e li mette dentro il setaccio; poi estrae dalla sua borsa alcune buste di plastica contenenti una bevanda rossastra e le poggia per terra in riva al fiume. La bevanda è succo di tamarindo, noto come “tombe juice”, venduto qua e là per le strade della Sierra Leone; oggi rappresenta il sangue dei minatori. Nel gruppo cala il silenzio: gli unici suoni sono quelli della natura rumorosa. I minatori rivolgono le braccia verso l’alto, coi gomiti piegati e le mani distese; alcuni chiudono gli occhi. Conteh inizia a pregare in arabo recitando alcuni passi del Corano; alla fine di ogni versetto il gruppo ripete in coro la takbira , la frase “Allah E' Grande”.




I minatori riuniti in preghiera attorno al setaccio si rivolgono a Salàmatu. Mohammed Conteh (sulla destra) dirige il rituale.



Nonostante siano musulmani, in questa zona orientale del Paese dove l’islam è la religione più praticata, nessuno dei minatori parla davvero l’arabo. Conoscono solo poche frasi sufficienti a svolgere le preghiere quotidiane. Allah è dunque il destinatario ultimo delle preghiere, rivoltegli tramite lo spirito di Salàmatu, che a sua volte riceve comandi da lui. La preghiera termina dopo pochi minuti. Conteh prende il setaccio e lascia cadere i biscotti nel fiume, poi apre le buste di tombe juice e versa in acqua anche il “sangue”. Salàmatu, che riceve in dono i biscotti dal setaccio, darà in cambio al setaccio la sua benedizione, mentre in cambio del sangue-tamarindo i minatori riceveranno le forze necessarie per affrontare la giornata di lavoro. Queste pratiche animiste possono sembrare in contraddizione con l’Islam, ma in realtà, come sottolinea l’antropologo D’Angelo: “Il Corano menziona una specifica categoria di spiriti detti ‘djinn’, esseri invisibili creati da Allah che possono interagire col mondo reale manifestandosi con le parvenze degli esseri umani, e che i minatori possono chiamare genericamente debuls”. Conteh precisa che questo rituale è di entità ridotta e non dispendioso. Sono altri i momenti in cui si fanno offerte più significative. “Ad inizio stagione sacrifichiamo una pecora in riva al fiume. I piedi, la testa ed il sangue li gettiamo in acqua. Facciamo un buco nel terreno e vi versiamo ancora il sangue dell’animale, per essere sicuri che sia attraverso l’acqua che la terra Salàmatu riceva la nostra offerta. In questa occasione gli abitanti di Dukor si uniscono a noi per danzare e pregare. Tutto questo costa molti soldi”. I tuffatori sono già in acqua, le pompe idrovore in funzione, il setaccio pronto.




Fooday (39) spala nel setaccio il pietrisco aspirato dai tuffatori. Abu (18) nonostante la giovane età ha già imparato a distinguere le gemme , di vario colore e sfumature, dalle altre pietre senza valore. La ricerca dei diamanti non richiede esperienza o strumenti sofisticati. Pale, setacci e poco altro bastano per adoperarsi in una miniera artigianale. Poichè non è possibile conoscere quali sono le zone dove trovare con più facilità le gemme la presenza dei diavoli riveste un ruolo importante nella scelta dei luoghi di lavoro.



Sebbene l’attività dei minatori si svolga in contesti remoti, dove l’educazione è povera e le credenze prevalgono sulla conoscenza, molti di loro sanno che i rituali sono solo superstizioni da rispettare come imperativo. Rimane comunque difficile stabilire in che misura queste pratiche siano per i cercatori semplice folklore o intima convinzione di relazionarsi col mondo innaturale dei diavoli. “Sai, io non credo a questi spiriti, ma devo seguire la tradizione”, dice Conteh mentre supervisiona i lavori. Poi aggiunge: “La prossima volta devo comprare qualcosa di meglio dei biscotti. Non stiamo avendo molta fortuna”.

Fonte: http://www.occhidellaguerra.it



 

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