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Nella miniera più profonda del mondo vive uno dei batteri più resistenti che si conoscano, che sopravvive grazie alle rocce radioattive. Un curioso modello biologico, che potrebbe essere alla base di eventuali forme di vita extraterrestri su altri pianeti e persino nello spazio interstellare.

di MASSIMILIANO RAZZANO

 

 

GLI ALIENI potrebbero essere fra noi. O meglio, sotto di noi. Nelle profondità della crosta terrestre, nascosti sotto chilometri di roccia, vivono infatti dei batteri capaci di sopravvivere in condizioni ambientali estreme. In particolare, il batterio Desulforudis audaxviator può vivere tranquillamente facendo a meno del calore o della luce del Sole, e sfruttando solamente le rocce radioattive presenti nel sottosuolo. Una condizione decisamente bizzarra, che potrebbe aiutarci a cercare gli extraterrestri.

Secondo gli scienziati infatti, D. audaxviator fornirebbe un modello biologico per spiegare le possibili forme di vita che potrebbero nascondersi su altri pianeti del Sistema Solare o persino nel vuoto dello spazio interstellare. E' questa la tesi di Dimitra Atri, ricercatore al Blue Marble Space Institute di Seattle, secondo cui l'energia prodotta dalle radiazioni presenti nello spazio potrebbe alimentare potenziali batteri extraterrestri. Lo studio, pubblicato sulla rivista Interface, suggerisce quindi un meccanismo che permetterebbe la vita aliena anche nei luoghi più inospitali, aprendo così nuovi scenari e prospettive nella ricerca di vita al di fuori della Terra.

Viaggio al centro della Terra. I batteri come D. audaxviator sono chiamati estremofili, per via della loro capacità di sopravvivere nelle condizioni chimiche e fisiche più estreme. Ci sono batteri capaci di abitare negli anfratti dei vulcani sottomarini, o nei ghiacci dell'Antartide, mentre altri possono sopravvivere nel vuoto o sopportare dosi di radiazioni che sarebbero letali per l'uomo. Il D. audaxviator è un estremofilo scoperto a una profondità di quasi 3 chilometri nella miniera di Mponeng in Sudafrica, considerata la più profonda del mondo.

Uno scenario che ricorda il ''Viaggio al centro della Terra'' di Jules Verne, da cui prende appunto il nome questo batterio. Nel romanzo infatti, il viaggio prende il via dal ritrovamento di un antico messaggio che, tradotto in latino, suggerisce all'audax viator, cioè al viaggiatore audace, la via per raggiungere il centro della Terra. Come ricorda Atri, D. audaxviator è l'unico batterio capace di sopravvivere nutrendosi di rocce radioattive. Si tratta di una forma di vita molto rara sulla Terra, ''perché abbiamo una dose abbondante di luce in superficie e gli altri estremofili che usano il calore o l'energia chimica sono relativamente più facili da trovare in posti come le faglie sottomarine'', ricorda Atri.
 
Un pasto radioattivo. Come funziona la curiosa dieta di questo batterio, che si basa sulle rocce radioattive? I minerali possono infatti contenere elementi radioattivi come uranio o potassio, che nel corso del tempo subiscono dei processi di decadimento nucleare producendo varie forme di radiazione. L'energia trasportata da queste radiazioni può dare origine al processo di radiolisi, ovvero può rompere i legami delle molecole presenti nell'ambiente, in particolare molecole d'acqua. Con la radiolisi e con le reazioni chimiche ad essa legate, si producono atomi e molecole, ad esempio a base di carbonio e zolfo, che vengono assorbiti dal batterio e utilizzati come fonte di energia.

Secondo Atri, una situazione simile potrebbe presentarsi al di fuori della Terra. Sappiamo infatti che nello spazio viaggiano particelle di alta energia, dette raggi cosmici, che potrebbero essere alla base della dieta di possibili batteri spaziali. Sulla Terra gran parte dei raggi cosmici viene assorbita dall'atmosfera, ma su altri pianeti meno ''schermati'', come ad esempio Marte, i raggi cosmici arrivano al suolo, interagendo con gli atomi presenti in superficie e generando cascate di particelle nel sottosuolo. Queste particelle secondarie possono propagarsi nel sottosuolo iniziando una reazione a catena che produce altre particelle e man mano consuma energia.

Grazie ad opportune simulazioni al computer, Atri ha ricostruito questo processo di deposito di energia a partire dai raggi cosmici di origine galattica. ''L'energia dalle particelle secondarie prodotte dai raggi cosmici galattici è simile all'energia prodotta nelle sostanze radioattive, e dovrebbe poter alimentare la radiolisi anche al di fuori della Terra'', sottolinea Atri.
 
Da Marte alle comete. Sono molti i luoghi dove potrebbero svilupparsi questi batteri alieni, come Marte, la Luna, Plutone, oppure negli oceani sotterranei di Europa, uno dei satelliti di Giove. Questi luoghi non sono protetti da un'atmosfera come la nostra, e sono quindi inospitali per i batteri più ''tradizionali''. Sono però zone inondate da un continua pioggia di raggi cosmici, che potrebbe quindi fornire l'energia sufficiente per i batteri più estremi.

Nelle profondità della Terra D. audaxviator ha a disposizione una piccola dose di acqua, che nello spazio è presente ad esempio nelle comete, un altro possibile luogo dove potrebbero annidarsi batteri di questo tipo. Ci sono poi i cosiddetti pianeti vagabondi, che si muovono nello spazio senza essere legati ad alcuna stella. Pur non avendo costantemente la luce di una stella, anche questi pianeti sarebbero colpiti dai raggi cosmici, e potrebbero così essere un altro possibile ''nido'' extraterrestre. Come sottolinea Atri, per verificare questa ipotesi sarà necessario scavare sotto la superficie degli altri pianeti, uno degli obbiettivi di varie missioni spaziali. Forse laggiù, nascosti sotto i deserti marziani, faremo il nostro primo incontro con gli extraterrestri.

Fonte: http://www.repubblica.it

 


 

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