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"Immersione rapida. La storia segreta dello spionaggio sottomarino."

Sherry Sontag – Christopher Drew
Edizioni Il Saggiatore
Pag. 444

“Questo libro parla di sottomarini, spionaggio e geopolitica, ma è anche un libro sulle persone”. È una storia svoltasi in piena guerra fredda quella raccontata dagli autori, entrambi giornalisti; è una storia di sottomarini che inseguono altri sottomarini; è una storia che ha coinvolto migliaia di uomini che, chiusi in angusti cilindri d’acciaio, spiavano altri uomini: da una parte gli Stati Uniti, dall’altra l’Unione Sovietica.

“Queste spie sottomarine presidiavano, come sentinelle silenziose, i fronti di una guerra combattuta aspramente da entrambe le parti. Solo che in quella guerra le armi più importanti non erano i siluri, ma le macchine fotografiche, i sonar e tutta una serie di complicate attrezzature d’ascolto.”

Furono circa duemila le missioni di spionaggio che i sottomarini americani condussero per il controllo dei sottomarini sovietici: lunghi più di un campo di calcio, questi ultimi potevano trasportare fino a venti missili balistici e ogni missile poteva lanciare fin a dieci testate nucleari.

“Esisteva un solo modo di contrastare i missili trasportati sui sottomarini: con altri sottomarini.” Sottomarini, quelli americani, che per i sovietici “erano più di un nemico: erano una maledizione continua.”

Il primo protagonista di questa storia è il sommergibile Cochino, al comando di Rafael Benitez. Si trattava dell’ultimo sommergibile entrato in servizio durante la seconda guerra mondiale, due settimane dopo lo sgancio della prima bomba atomica e che, alla fine della guerra, insieme ad altri pochi battelli, era stato radicalmente modificato con l’installazione dello snorkel, di un sonar passivo ed altre migliorie che gli avrebbero fatto assumere l’acronimo di GUPPY, che stava per Greater Underwater Propulsion Power, cioè maggiore potenza propulsiva subacquea.

Il 20 agosto 1949 il Cochino e il Tusk, che aveva subito le stesse modifiche, erano nel mare di Barents. A bordo del Cochino c’era anche Harris M.Austin, una “spia” che lavorava per il Naval Security Group, “il mitico servizio di crittografia che aveva intercettato e decifrato le più importanti comunicazioni della Marina giapponese durante la Seconda guerra mondiale.” Il 25 agosto, le batterie di uno dei due compartimenti dove erano installate, andarono in fiamme. Il Tusk, che si era separato dal Cochino per effettuare il collaudo del sonar, giunse in soccorso. Nonostante gli enormi sforzi del Comandante Benitez e del suo equipaggio, che nel frattempo si erano trasferiti sul Tusk, il Cochino il 26 agosto affondò. Non tutti riuscirono a salvarsi e morirono anche alcuni uomini del Tusk. Più tardi ci si rese conto che lo snorkel, pur avendo rivoluzionato la guerra sottomarina, aveva pesanti limitazioni. Così si aprì la strada alla propulsione nucleare.

L’ammiraglio Hyman G. Rickover fu il padre del sottomarino nucleare. John P.Craven invece ebbe l’incarico, dall’ammiraglio Red Raborn, di studiare il regno inviolato delle grandi profondità, di lavorare con il suo gruppo a nuove idee: “missili da piazzare sul fondo dell’oceano, a chilometri dalla superficie; sottomarini in grado di arrivare laggiù e di vedere attraverso l’oscurità degli abissi, trasportando telecamere in acque straniere mai percorse.” Ma gli ammiragli non erano interessati alle immersioni in acque profonde, in quanto le consideravano più difficili dei lanci degli uomini nello spazio, fino a quando, il 10 aprile 1963, l’incidente occorso, durante un’immersione di prova, al Tresher - primo esemplare di una nuova classe di sottomarini nucleari d’attacco progettati per immergersi più di quanto facessero gli altri sottomarini dell’epoca - che causò l’affondamento del sottomarino e la morte dei 129 uomini di equipaggio, non portò la marina a finanziare, con somme ingenti, il programma Sottomarino sicuro, riguardante veicoli di salvataggio per la grandi profondità, programma che destò anche l’interesse dell’Office of Naval Intelligence. Fu così che il sottomarino Halibut, dopo un opportuno adattamento, divenne il laboratorio di Craven e fu impiegato in missioni di spionaggio.

Un’altra tragedia,intanto, il 27 maggio del 1968, avrebbe colpito il sottomarino Scorpion che scomparve con i sui 99 uomini di equipaggio. L’ipotesi più accreditata fu che l’incidente venne provocato dall’accensione spontanea della testata esplosiva di un siluro, innescata dall’incendio della batteria, forse difettosa. Nel 1970 l’Halibut fu inviato nel mare di Ohotsk alla ricerca di un cavo telefonico sottomarino che permetteva ai sovietici di comunicare. Una volta trovato, alcuni sommozzatori dovettero uscire dal sottomarino per collegare il dispositivo di registrazione al cavo stesso, in modo da poter raccogliere un ricco campione di voci e trasmissioni di dati sovietici. L’Halibut scoprì anche il posto dove andavano morire i missili sovietici, missili che avevano una nuova guida a infrarossi che l’U.S. Navy non era stata in grado di neutralizzare. Così i sommozzatori raccolsero alcuni frammenti di missile da far analizzare.

Nel 1978 fu la volta del sommergibile Parche, incaricato di intercettare le comunicazioni sovietiche nel mare di Barents - dove si ergeva il bastione dei sottomarini sovietici - missione che aveva affascinato il presidente Carter, il quale era stato un ingegnere nucleare seguace di Rickover, prima di doversi occupare, dopo la morte del padre, delle coltivazioni di noccioline di famiglia. La caccia alle informazioni sovietiche continuò inesorabile fino al 1991, quando il nemico degli USA divenne l’Iraq, cosicché ci fu un drastico taglio del numero di missioni al largo delle coste sovietiche.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica la Russia rimase comunque la seconda potenza subacquea del mondo e “finchè l’orso continuerà a nuotare” occorrerà sorvegliarla. Rimane il fatto che “forse l’intera corsa agli armamenti nucleari era stata una pazzia, ma, dato che ci fu, i sottomarini spia divennero un elemento cruciale di quella follia.”

Gianlorenzo Capano

Fonte: http://www.difesaonline.it

 


 

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